Un aspetto importante delle tradizioni musicali della Valle dell’Aniene è legato al mondo della religiosità, con manifestazioni ed espressioni diversificate.
La musica, per varie ragioni (tra cui il supposto carattere divino, l’astrattezza, l’importanza e il potere che le si attribuisce nella gran parte delle culture), è diffusamente impiegata nei rituali, tanto da poter considerare tale associazione pressoché universale. Nel contesto del rito la musica può assolvere varie funzioni, ad esempio: coordinare i ritmi e differenziare le sezioni di un rito regolando il comportamento degli individui che vi partecipano; agire sulla percezione del tempo, ampliando o comprimendo un’esperienza religiosa; riattualizzare un evento del passato; contribuire alla delimitazione dello spazio rituale; servire come mezzo di indottrinamento.
Quest’ambito si rivela, quindi, molto articolato ed attivo e, per i caratteri conservativi dei contesti religiosi, alcune tradizioni musicali si preservano e si vivificano proprio in quanto collegate alla sfera del sacro. In Italia la conservazione di repertori e delle prassi esecutive è di sovente giocata – in un rapporto dinamico – sulla tensione che vede, da un lato, l’istituzione religiosa affermare una propria visione della devozione e incanalarla su modelli coerenti con il proprio orizzonte ideologico, dall’altro, il mondo popolare che esprime autonome rappresentazioni e propri modelli comportamentali.
La consolidata tradizione religiosa di Arsoli e del suo territorio si muove, appunto, tra due campi dell’espressione musicale, quello della devozione popolare e quello liturgico. Al primo appartengono, ad esempio, gli inni dedicati ai Santi venerati localmente (il patrono San Bartolomeo, Sant’Antonio Abate, Nostra Signora di Guadalupe), i canti collegati al ciclo delle feste annuali (come quelli dei riti della Settimana Santa), i canti di pellegrinaggio (tra cui la Canzonetta alla Santissima Trinità di Vallepietra); il secondo comprende i canti propri della liturgia, appannaggio dei religiosi e delle Schole Cantorum di cui si trovano significative testimonianze già dalla metà del 1800.
L’esperienza delle Schole si è protratta fino alla fine degli anni Trenta del Novecento e prevedeva l’esecuzione in latino dei canti in tutte le funzioni festive, i Vespri, le Litanie, i funerali e per i riti di Natale, di Pasqua, della Settimana Santa e dei santi titolari delle confraternite “minori”. Durante la festa della Candelora ai cantori era destinato un cero speciale per i particolari meriti riconosciuti dalla comunità parrocchiale. Una Nova Schola Cantorum è nata nel 1996 con l’intento di rinverdire questa tradizione; va inoltre ricordata in tal senso la presenza di numerose confraternite (SS. Crocifisso, del Gonfalone, del Santo Rosario, del SS. Sacramento, della Dottrina Cristiana e della Buona Morte, del Carmine, di San Sebastiano, di Sant’Antonio da Padova, di Santa Lucia, di Sant’Atanasio e San Biagio) che svolgono un ruolo importante, anche musicale, durante le cerimonie e le festività locali, tra cui va menzionata l’interessante tradizione del festarolo e del santo in casa.
Gran parte della musica devozionale si esplica soprattutto attraverso il canto, ma esiste anche una dimensione strumentale collegata a specifici ambiti rituali (si pensi, ad esempio, alle bande musicali, alla zampogna o agli idiofoni utilizzati durante la Settimana Santa).